Vivere senza scrivere, l’ultimo tabù

In questi mesi turbolenti, in cui mi sono trovata messa de facto alla porta dall’azienda per cui lavoravo con una settimana di preavviso e durante le feste natalizie, ho dovuto anche fare i conti con altri lavori di grande impegno ma scarsa o nulla redditività.
Tutto ciò mi ha spinta a riflettere molto su me stessa, sulle mie energie rimaste, su come desidero vivere.
E mi sono resa conto che per me la scrittura non è una necessità come per molti. È una magia che accade quando una storia mi chiama, un’attrazione che vivo con passione e impegno, che mi diverte, che mi trasforma in una perfezionista maniacale e felice, ma non è un’esigenza eterna e costante.
Non credo che la mia voce abbia messaggi indispensabili da lanciare. E se c’è una passione di cui vorrei vivere, l’ho sempre detto, sono le escursioni.
Ma, quando affermo queste cose, difficilmente mi si crede.
Si attribuisce il mio stato d’animo alla stanchezza, alla sfiducia, alle difficoltà umane ed editoriali.
Ma no, non è così.

È che io voglio essere libera, non c’è nessuna passione abbastanza forte vincolarmi. Ho un meccanismo di salvaguardia automatico che, appena la fatica supera il limite che la separa dalla sofferenza, spegne qualsiasi sentimento.
E allora dicono che è un peccato, che sono brava, che all’estero avrei avuto successo e via discorrendo… oppure continuano a non crederci, sostengono che il mio sia un vezzo, i malpensanti lo ritengono una menzogna e suggeriscono che io trami con grandi case editrici o sia un’editrice in incognito (sic!)…
Voglio dirvi una cosa: si può vivere nell’ombra e stare benissimo.
Io soffro l’obbligo di visibilità, per me è una tortura. Ho sofferto l’essere incatenata a una sola storia, a un solo stile, e patisco l’essere identificata con qualcosa che dopo quasi dieci anni ho superato di leghe.
Ho preferito mille volte fare editing, perché amo ascoltare e accordare la musica di pensieri e parole, ma lavorare senza un riscontro economico non mi è possibile e, si sa, se non hai un nome è così che si finisce.
Per cui riproverò, di nuovo, legalmente, a chiedere indietro i diritti dei miei primi libri, tutti a zero vendite e maltrattati in diversa maniera. In un modo o nell’altro, quando e se li riavrò, li farò sparire. Ripubblicherò solo il primo, come autrice indipendente perché un libro spremuto per dieci anni non lo vuole nessuno, e lascerò disponibili i racconti. Gli altri romanzi spariranno nel mio hard disk insieme a quasi quattro inediti, fino a data da destinarsi.
Per uscire di scena con dignità e dedicarmi alla gioia degli scarponi quando ho un po’ di tempo libero dal lavoro di segretaria e dalla cura dei genitori, senza pagine e pagine che mi aspettano a casa, senza rogne contrattuali che mi tolgono il sonno, senza obblighi promozionali che succhiano denaro non generato da ciò che promuovo.
Finché l’editoria italiana va così, mi dedico alla brevitas del racconto.
Se qualcosa dovesse cambiare, mi adeguerò e tornerò a scrivere o pubblicare. Ma le passioni non devono essere nemiche della serenità. Il buon Filodemo, maestro epicureo che ho incontrato di nuovo tra le mie vecchie pagine, mi ha bacchettata e ha fatto bene.
Come diceva Seven of Nine: “I will adapt, I will survive”.
Diverso è il discorso dell’editing.
Ci riproverò, perché mi sono messa alla prova su decine di testi del più diverso tipo. Ho sempre stabilito ottimi rapporti con gli autori, per riuscire a “sentire” la parola e il pensiero con la loro anima. Ho dovuto dimezzare testi, trovare la quadra tra le esigenze degli editori e quelle degli autori; ho messo le mani su pagine che odoravano di cadavere di maestra ma ho anche rinfrescato storie eleganti e complesse, sono passata dal fantasy alla storia e alla filosofia, in alcuni casi ho lavorato mesi e in altri poche settimane. Con impegno e fatica, ma altrettanta gioia. Nessuna sofferenza.
Mi sono fatta un portfolio, ora devo farmi un nome.
Come non so, ma where there’s a will there’s a way.
Dimessi i panni di segretaria che scrive mail tutte uguali, spero di cuore di poter curare i testi, accordarli e ascoltarli, e che l’impegno e i risultati portati siano prima o poi riconosciuti.