riflessioni di un’istagrammer – l’immagine nella Storia

@A. Baldi –  illustrazione dell’estratto a fine post

Nell’era dei selfie e di Instagram, non nuoce una piccola riflessione sull’immagine nella Storia, pubblicata anche sulla mia pagina Facebook (la trovate qui).

Fino alla fine degli anni Novanta, ogni foto era una scommessa.
Si scopriva solo dopo qualche giorno se lo scatto era venuto bene, se quel momento a cui tenevamo tanto era stato immortalato. Bisognava trattarlo con cura, il rullino! Non era impossibile regalare una foto, ma era un gesto di valore: bisognava conservare con cura i negativi, pagare ogni copia.

Di recente mi sono imbattuta in una lettera che risale a 151 anni fa. 
Ve la riporto per intero, perché lo merita.

“Mia cara, ricevete una mia fotografia. Non le do mai se non me lo chiedono con insistenza; ma noi viviamo lontani; non potremo mai vederci di frequente; può darsi che debba partire per l’Italia; può darsi che muoia; e la mia fotografia ed il mio nome in una delle vostre stanze sarà una specie di legame spirituale tra le nostre anime ed i nostri pensieri. Se per caso ne aveste già una, datela ad un amico, e tenete quella che vi mando. Con un ricordo cordiale per vostro marito, sono, cara amica, sempre fedelmente vostro Gius. Mazzini”

Sorpresi, eh?
Così, la sera di martedì 29 maggio 1866, il patriota italiano scriveva a Lady Harriet Hamilton King.
Quelle parole mi hanno commossa per l’enorme valore che si dà alla propria immagine stampata, come ricordo tangibile, legame. Non un istante tra i tanti, immortalato finché c’è spazio nel telefono; non un ricordo usa e getta, fungibile, condivisibile con un numero illimitato di persone e parcellizzando tra loro il sentimento e l’emozione. Qui si parla di qualcosa di profondo, di significativo: la possibilità di guardare negli occhi un ricordo.

Tornando ancora più indietro nel tempo, ci rendiamo conto come la già le prime macchine fotografiche avessero “democratizzato” la possibilità dell’immagine. Senza fare un trattato storico, perché questa non è sede – eppure sarebbe interessante, molto interessante, parlarne per esempi concreti, per aneddoti significativi – il ritratto non era alla portata di tutti. Uno schizzo a matita, una foto scolorita, qualsiasi ricordo fisico era un tesoro estremamente prezioso.

L’epoca romana,  quando ritraeva però lo faceva con una veridicità favolosa, esaltante per noi che ritroviamo difetti, vizi, vezzi e temperamenti dei nostri antichi padri. In un gesto scolpito, si immortalava il dolore dell’addio a un fanciullo morto prematuramente.
In un anello – penso al c.d. “anello di Carvilio – si ricordava il volto del figlio.
Nelle rughe severe di un volto pensoso, un antenato che sarebbe stato guida e modello per tutta la famiglia.
L’immagine non era un fugace istante di vanità con la retrocamera, era un legame, un lascito.
Una delle pene peggiori era la damnatio memoriae, ossia la cancellazione di ogni menzione, ogni ricordo, anche ogni immagine. Fa impressione, nel tondo severiano, vedere il viso del piccolo Geta abraso con meticolosa ferocia. E lui, poi, non aveva fatto proprio nulla per meritarsela, quella punizione. O, almeno, non aveva fatto nulla di diverso rispetto a colui che lo punì.Ma questa è un’altra storia.

Alla fin fine, è a un estratto di “Calpurnia, l’ombra di Cesare” che dobbiamo arrivare. Ma tante volte il viaggio mi piace più della meta (e l’illustrazione di questo primo passo, opera di Alessio Baldi, è l’immagine che ho messo a inizio post!)

“Si trovava nella stanza dove, un dettaglio dopo l’altro, parte dopo parte, la statua di Cesare prendeva vita. Il braccio era già perfettamente scolpito e il muscolo sembrava pronto a scattare in un energico gesto oratorio. Il viso era abbozzato ma gli occhi erano quasi perfettamente definiti, ancora candidi nella pietra, tuttavia già animati da una segreta, inquietante vitalità. I lavori andavano a rilento perché alcuni assistenti dipendevano da famiglie nobili che erano fuggite portando con loro la familia. Eppure poteva già contemplare l’articolazione delle dita, e le unghie… già, le unghie… avevano scolpito persino quelle. “

Lascia un commento