Era la lettura controversa del 2018, ma io non l’ho trovata tale, tant’è che ho finito il libro qualche mese fa, in poco più di una settimana. Per me, è stata solo una delle più impegnative, per ricchezza e mole, ma così la volevo. E ci tenevo molto, per un motivo: M. Il figlio del secolo racconta di Mussolini e io sono nata e cresciuta in una delle città di fondazione. Quindi, per forza di cose, per me il fascismo era “naturalmente” parte della Storia ancora prima di studiarlo a scuola: conosco a memoria la dedica della città scolpita sul fianco della torre comunale, perché lì facevo i miei giri in bicicletta, esattamente come giocavo a pallone sul selciato della chiesa dove, in un mosaico, “lvi” che falcia il grano. Proprio per questo motivo, ho sempre guardato con molta pena quelli del “se tornasse lvi”, perché ignorano come il mondo sia cambiato, spesso ignorano volutamente anche com’era all’epoca e in genere sono i primi che frignerebbero a gran voce nel momento in cui un regime autoritario tocca un loro diritto invece che altrui. La democrazia e la libertà sono faticose e impegnative, sono roba da adulti.
Ciò detto, ho sempre pensato che l’unico modo per superare la Storia, imparare la sua lezione e andare avanti, sia quello di trattarla come tale. Con serena lucidità.
M. Il figlio del secolo è, forse, una via. Continuate a legge il post cliccando su continue reading, e vi dirò molto di più.È un romanzo-non-romanzo, se fosse sullo schermo lo si potrebbe definire un docufilm o un biopic, e racconta l’ascesa di Mussolini, partendo dal suo distacco dal socialismo fino al caso Matteotti.
A mio parere, la prima parte del libro è la migliore. Specie l’inizio, in cui Scurati descrive una società sfilacciata dalla Grande Guerra e gli umori della sua gente, il lettore attento non può che avere un brivido e pensare “Quelle parole avrei potute urlarle io…”
Altro punto di forza del libro è come racconta, dall’interno, la violenza maschia e allegra delle camice nere. Randellare in letizia, umiliare con baldanza. Vengono i brividi. Davvero delle “cose buone” – e qui si potrebbe aprire un capitolo, ma diamole per assodate – giustificano tutto questo? Forse per chi non c’era, o per chi non ha avuto morti, o non è stato ferito, sì. Ma leggere certe scene in maniera narrativa e visiva, è un vero pugno nello stomaco. Esce dalla Storia, diventa vita.
Lo stile e il ritmo sono magistrali e i contenuti molto ricchi. Chiedono impegno e concentrazione, offrono profondità.
Ci sono state parecchie polemiche anche su alcuni errori storici presenti nel testo. È vero, ci sono imprecisioni. A mio avviso, una è più seria, ossia in un punto può inficiare le visione che si ha di un personaggio e del suo atteggiamento. Non credo di avere nessun tipo di titolo o competenza per entrare nella polemica in sé: è vero, piccole case editrici non passano ad autori esordienti errori più leggeri. Ma è pur vero che il libro è mastodontico. Quanti studiosi servono per una revisione? Il nome dell’autore rende più fiducioso il revisore e l’editore? Oppure siamo più severi per il tema? Perché non riusciamo ancora a vedere il fascismo come Storia? Forse. Certo è che credo ci sia voluto coraggio a scrivere un romanzo del genere. E per questo, vorrei focalizzarmi su un punto: è un libro che mi ha fatto pensare, a tratti mi ha scossa, mi ha fatto interrogare su me stessa in rapporto alla società. E questo, quando si parla di regimi dittatoriali – che nascono proprio per rispondere ai dubbi in maniera semplice e imperativa, per cancellando le sfumature con un’unica, energica pennellata di colore – è un indubbio pregio.