Il mio proposito di rileggere un classico al mese ha avuto una battuta d’arresto tra maggio e giugno, complice un intervento ortodontico problematico e un lutto in famiglia. La vita è così: quando chiama devi rispondere, non c’è sfida virtuale che tenga. Potrei dire che tra maggio, giugno e luglio mi sono dedicata a letture “calienti”. In realtà io, l’eros e affini facciamo a schiaffi. Seguo con curiosità i risultati strabilianti che l’erotico ottiene su Amazon e la spinta che offre alle vendite di narrativa generale, ma non so maneggiarlo. Vuoi perché amo i miei personaggi al punto da rispettarli come fratelli, vuoi perché ridicolo e cattivo gusto sono dietro l’angolo, resto sempre a una certa distanza dai letti. Tanto tengo alla larga l’erotismo di inchiostro, quanto mi incuriosisce il segreto del suo successo. E da figlia di Ulisse che vuole capire tutto, ho dedicato letture e riletture di questi tre mesi faticosi a eros e dintorni. E sono giunta a una conclusione: il genere erotico mette a nudo i tempi un cui viene scritto. Continuate a leggere, perché ora vi spiego cosa intendo.
I libri per la mia sfida li scelgo spesso per caso e per ispirazione. Dopo aver letto il post in cui una mia amica metteva in vendita “Justine”, ho deciso di procurarmi l’opera di De Sade in digitale. Per una somma davvero modica, ho potuto leggere le varie versioni di Justine. Nella prima, la protagonista è irritante come quegli attivisti così convinti da diventare ossessivi e petulanti: fa venire anche al lettore voglia di picchiarla, ma c’è moltissima riflessione sullo spirito del tempo. Nella seconda l’aspetto sessuale diventa più esplicito, violento e predominante, ma c’è ancora parecchia psicologia e filosofia. La terza versione è difficile da digerire, più che altro ci si chiede che pilloline usassero i protagonisti per le orge continue con pratiche al limite del delitto.Quel che mi ha interessata e positivamente colpita è, come dicevo, lo spazio che viene dato alla filosofia. Senza più il vincolo della morale religiosa, l’uomo che non teme la vista del vero scopre la natura, madre meccanica e neutra, con le sue meraviglie e con i suoi orrori. La legge del più forte è tra essi e i protagonisti applicano con convinzione e zelo questa regola. De Sade diventa voce della sua epoca, ma anche urlo dell’uomo che, improvvisamente liberato dal guinzaglio che l’aveva trattenuto, si spinge persino oltre i limiti. Vi consiglierei De Sade come lettura? Dipende. Preso con lo spirito giusto, di esploratori del pensiero, è molto interessante. Se avete questo atteggiamento e siete avvezzi ai classici, assolutamente sì. E scoprirete che Christian Gray è un dilettante.
Veniamo quindi a una lettura del Novecento, della quale mi sono fatalmente innamorata.
Non è un romanzo erotico, ma alla sua uscita fu giudicato lascivo e immorale. Mi riferisco a “Lolita” di Vladimir Nabokov. È un capolavoro che mi ha tolto il sonno. Quando ci sono richiami sessuali, sono così metaforici e allusivi da essere adatti a un quadro surrealista, evocativi e potenti. La storia è universalmente nota: un maturo intellettuale, il cui sviluppo affettivo si è bloccato per un trauma durante la pubertà, ha una passione per le “ninfette”, ragazzine in età prepuberale. Attratto dalla sua figlioccia, rimasta orfana, la adora e prova piacere solo sfiorandola e guardandola, deciso a non corromperne le carni, finché lei non lo seduce e ne diventa amante, in un legame del quale, in maniera diversa, entrambi saranno vittime. È anche questa un’opera piena dello spirito del tempo. In un’America sfiorata dalla guerra – la storia inizia nel 1947, quando in Italia c’erano solo fame e macerie – Humbert Humbert, intellettuale europeo, vaga tra noia, disincanto, psicoanalisi e filosofia. L’inconscio viene sezionato tra richiami, allusioni, poesie, correnti di pensiero, arte e malessere: è il Novecento, baby, il secolo in cui tutto crolla, si destruttura e abbandona l’uomo smarrito al lettino dell’analista. Sublime il post scriptum di Nabokov, su interpretazione dei romanzi e la lingua madre come simbolo della perduta terra natale. Ecco un altro scrittore per cui ho perso ore di sonno, tanto mi ha avvinta. Sono sempre i russi a farmi quest’effetto. Qual è la loro malia? Una cosa è certa: nella guerra fredda tra penne, non ho dubbi su chi sia il mio trionfatore. Questi testi intriganti, magari controversi, a volte disturbanti, suscitano pensieri e reazioni profonde, sia a livello intellettuale che viscerale.
E veniamo, quindi, all’erotico per eccellenza dei nostri giorni digitali e siliconati, Cinquanta sfumature di grigio. È sparare sulla croce rossa, lo so. Ho già colpito duro in altri post, lo so. Ho gusti da principessina, lo ammetto. Voglio che un libro mi dia davvero qualcosa, non per forza una lezione: basta un’emozione, una suggestione. Però voglio che mi elevi, mi migliori, mi dia quel che non ho ancora raggiunto.
Ma su questa croce… grigia sparo con cognizione di causa, perché io volevo capire le ragioni del successo e l’ho letto, annoiandomi a morte nelle fasi in cui si vorrebbe approfondire la psiche dei protagonisti, ridendo incredula per le descrizioni dei loro amplessi. Abbiamo un bamboccio non cresciuto, chiuso nel suo solipsistico tormento all’acqua di rose, ma ricchissimo eh. E bellissimo eh. Abbiamo una Cenerentola riscattata economicamente da un principe pervertito, da una Bestia che lei deve redimere per la sua sindrome da crocerossina di quelle a livello estremo, da telefono rosa. E abbiamo tanto sesso acrobatico, descrizioni dettagliate che sfiorano il ridicolo o il grottesco. E allora, di nuovo, l’eros è specchio del nostro tempo dopato e plastificato, inodore come un iPhone, dove le pelli sono lisce e perennemente incorrotte dalla vita, seriche come la superficie di uno schermo retina, dove un pelo o un’imperfezione sono l’unica filosofia per cui andare in crisi. Is this the world that we created?
Nabokov, per me, vince a man bassa.