Me lo fanno notare in molti: i miei libri sono estremamente casti.
Non è una scelta religiosa o morale, visto che da oltre metà della mia vita non credo in nessun dio.
Non è una scelta di pudore: sono sorella maggiore di fratellino, scout, amante dell’arte antica, amica degli uomini, ex cestista in squadra maschile; so fare pure le punture e non solo sulle braccia, vedete un po’ voi se mi scandalizzo facilmente. Semplicemente, non riesco proprio di descrivere l’amore. Quello fisico, intendo.
Ma poi, c’è bisogno che ve lo descriva io?
Eppure questa caratteristica, questa mancanza nei miei romanzi pare notarsi.
Siccome non è voluto, il problema me lo sono posta e, l’anno scorso, ho anche provato a risolverlo. Ero a Castel del Monte e ho pensato di far pratica in descrizioni esplicite su una cavia che fosse verbalmente… piacevole da maneggiare e abbastanza morta da non potermi denunciare. Chi meglio del biondo signore del maniero? Ma nulla: ne è nato un racconto filosofico! Che magari un giorno leggerete.
Perché scrivere scene erotiche è difficile e, se non lo si fa bene, con personalità, padronanza del linguaggio e della “regia”, diciamo così, scadere nel ridicolo è facilissimo.
Come lettrice, lo ammetto, più di una volta mi sono profusa in grasse risate.
Così ho deciso: fatevene una ragione. I miei libri sono casti e malinconici. Ammesso che torni a scrivere, non mi cimenterò in scene amorose finché non sarò in grado di farlo come Ismael Serrano in questa strofa:
Estás tan bonita, te invito a un café
La tarde es nuestra, desnúdame
Tras el relámpago te decía
Siempre recogeré flores en tu vientre
(E dai che si capisce!)