Il mese scorso ho avuto il piacere di leggere il libro di Monica Mgl Valentini “Principe delle tenebre: Biografia romanzata su Manfredi di Svevia”. Un testo che avevo adocchiato alla Fiera di Ferrara e che ho acquistato in formato kindle una volta tornata. Riporto qui la mia recensione, presente anche su Amazon.
Sappiamo, o possiamo sapere facilmente, quale sia stata la fine di Manfredi di Svevia. Brutta. Ma proprio brutta. Ecco, il punto è che – per quanto l’opera di Monica sia, appunto, una biografia anche se narrata come un romanzo – fino all’ultimo una parte di me sperava irrazionalmente che qualcosa cambiasse, che il protagonista di quelle pagine potesse salvarsi. Reazione che ha sorpreso me per prima e che mostra come l’autrice abbia saputo creare empatia con il personaggio, quel legame impalpabile che cancella la carta e il tempo e ti fa provare le sue stesse emozioni, dimenticare la realtà, il dove e il quando. Il potere del romanzo storico è (anche) questo e lo rende complementare ai saggi e alle biografie scientifiche. Non le sostituisce, perché altro è il suo fine. Così, a mio gusto, integra l’approccio alle epoche. Ti fa battere il cuore su ciò che hai appreso dai saggi.
Come ricorderò il Manfredi di Mgl Valentini?
Visto dagli occhi del devoto amico Teobaldo: bello e pensieroso, adagiato sui cuscini, mentre accarezza il suo leopardo.
Visto dagli occhi di Elena d’Epiro: quando, per toglierle la paura e il senso di smarrimento che la stanno attanagliando appena sbarcata a Trani, lui scende da cavallo, le si avvicina e invece di presentarsi formalmente, l’abbraccia con forza e la bacia in mezzo alla folla di nobili e sodali giunti ad accoglierla.
Questa biografia romanzata descrive un mondo spietato, dove il piacere e la grazia sono eccezioni, debolezze o trasgressioni, mentre il tradimento è quasi la regola e il potere più forte, quando attaccato, reagisce con una lotta senza quartiere, sfruttando tutti gli strumenti a propria disposizione, temporali e spirituali. È una storia che, nelle vicende della nostra penisola, si ripeterà ancora e ancora. Ma la rivincita della dinastia sveva risiede nella tenacia gentile di una donna, che nel libro appare come dolcissima bambina, cocca di papà com’è normale sia, da lui riamata senza misura: Costanza, figlia di Manfredi. È singolare come tale nome, che evoca una virtù portentosa ma difficile da praticare, ritorni in questa famiglia in geometrie, geografie e ruoli diversi, che però apportano sempre qualcosa di buono: Costanza d’Altavilla, madre amatissima di Federico II, adorata dal popolo; Costanza d’Aragona, prima sposa, sostenitrice e guida del futuro imperatore; Costanza di Svevia, che – condotta lontano per matrimonio e, così, salvatasi dalla strage – tornerà al trono di Sicilia.
Non ditemi che non l’avevate notato! La Storia ha sempre la sua ironia e a rendere davvero immortale Manfredi sarà proprio un guelfo. Ma non uno qualunque: un poeta, come lui, che sapeva scrivere d’amore, che aveva provato il sale delle lacrime e del pane altrui, ma anche il gusto dolce dei peccati che doveva condannare nella sua opera, finendo per dedicare proprio a loro i versi più musicali.“Biondo era e bello e di gentile aspetto”Nel segno dell’arte e di quella lingua musicale e nuova, Manfredi il ghibellino è rinato attraverso il guelfo Dante. Quando si dice che “in principio era il Verbo”, per evocare il potere creativo e generativo della parola, si intende anche questo.
Io direi, per chi è a casa, di rileggere sottovoce i versi di Dante. Fa sempre bene alla salute, assumere un po’ di Alighieri a settimana.
Io mi volsi ver’ lui e guarda il fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
Quand’io mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: “Or vedi”;
e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
Poi sorridendo disse: “Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond’io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia,
genitricede l’onor di Cicilia e d’Aragona,
e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.
Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.
Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,
dov’e’ le trasmutò a lume spento.