Quando è stata celebrata la giornata internazionale del bacio, molti autori hanno colto l’occasione per pubblicare estratti a tema. Ci ho provato anche io, onestamente. Non volendo pubblicare Catullo che, anche tra le mie pagine, chiede mille baci e quindi cento per ingannare la morte, ho aperto il mio file di “Calpurnia, l’ombra di Cesare”, premuto cmd+f e cercato la parola bacio. Ricorreva solo tre volte, due delle quali metaforiche. L’unico bacio, inteso come scambio affettivo di coppia, è… sulla fronte. Questo, insieme ad alcune altre faccende correlate, mi ha fatto riflettere un po’ e avevo piacere a condividere questi pensieri con chi vorrà seguire il post.
Mi ritengo l’ultima persona a poter parlare di scrittura. Io scrivo poco, lentamente e solo per passione. Però, sebbene queste mie riflessioni non abbiano nessun titolo ad avvalorarle, sono sincere.
Parlavamo di baci. E di quel che ne può seguire. Ho sempre pensato di aver scritto un libro particolarmente casto rispetto alla moda di oggi per una mia forma di rispetto verso i personaggi che, in questo caso, sono persone realmente esistite. Poi di libri ne ho ultimati due che avevo iniziato da anni, tutti con personaggi inventati o presenti nella mitologia, quindi che non si possono “offendere”, ma si è ripetuto lo stesso fenomeno.
Ora mi sono imbarcata in una nuova avventura, finalmente frutto della “me” di oggi e il vento soffia forte e allegro nelle vele della creatività. Non so se riuscirà a diventare un libro, tanti fattori sono in gioco. Fatto sta che, per alcune caratteristiche, ciò che sto scrivendo mi ricorda molto Calpurnia. Di nuovo, mancano i baci e quel che ne segue. Ci sono ricordi, baci desiderati addirittura senza nominarli, no, qui le sfumature di grigio sono tutte della nebbia.
E mi sono resa conto che scrivere con amore di persone reali del passato è di per sé un gesto erotico. Nel senso alto e vero della parola. Vuol dire accoglierli, accettarli. Con ciò che di loro ci attrae e ciò che ci disgusta.
Loro non potranno spiegarsi né capire le nostre emozioni, perché apparteniamo a mondi diversi. Uno spazio comune si trova accogliendoli senza giudicare, interamente, in un abbraccio. E dobbiamo accettare le nostre reazioni, i pensieri che scaturiscono da questa interazione così totalizzante. Insomma, è un atto d’amore.
E allora scrivere equivale a ballare un tango.
È un ballo molto filosofico, sappiatelo.
Abbandonarsi a braccia sconosciute, fidandosi. Vincere l’inquietudine e lasciarsi andare ai passi suggeriti dall’altra parte e poi, dolcemente, forzarla ai propri movimenti, alla propria direzione.
Casualmente, facendo di nuovo eccezione ai luoghi comuni, a parte Calpurnia quasi tutti i miei protagonisti futuri saranno uomini. Nel senso di maschietti. Quindi, in gran parte, si tratta di ballare il tango rispettando anche il ruoli. Nonostante si dica sempre che le donne scrivono di donne.
Com’è stato ballare un tango con Giulio Cesare? Una sfida complicata, da sudore freddo, ma per questo appagante. O accetti di mettere nel cassetto duemila anni di storia sociale, o non ci balli. Com’è ballare il tango con un patriota risorgimentale? Molto più semplice. So che, se mi pesta un piede, è perché è inciampato.
Ma questo vuol dire che ciò che scrivo manca di amore? Tutt’altro, penso… spero. L’amore per la natura e l’amore paterno sono temi che, mi sono accorta, ricorrono sempre. Amore è tante cose: si amano idee, persone, luoghi, lavori, amici, stagioni.
Non c’è nulla di più erotico che amare la vita nella sua totalità.
Non concentratevi troppo alla ricerca di “sfumature di grigio” o di qualsiasi altro colore: c’è l’arcobaleno lì fuori.