Matteo Palli è un pazzo di quelli che stimo. Un autore che ha deciso di esordire con una storia ambiziosa, scritta per amore e con amore, senza misurare le sue scelte con il bilancino veniale del mercato e del marketing.
Ho letto il suo libro – titolo: Ilio 1184 a.C. La fine di un mondo – e non posso che complimentarmi con lui, per tanti motivi.
Matteo si è confrontato con un’ambientazione non facile, perché conosciuta e a mio avviso persino “fondante” del nostro mondo. Quando si parla di radici, io dubbi non ne ho: tutti i nostri archetipi affondano sotto le mura Troia. Siamo impastati di Ettore e di Achille, di Odisseo e Andromaca. Siamo loro. Si può scrivere qualcosa di brutto con un setting del genere?Oddio, considerando che esiste roba come “Troy”… 😅 Dare un’interpretazione e un taglio nuovo eppure eterno a qualcosa che ha già sconfitto il tempo non è facile. Matteo Palli ci riesce.
Lo fa con una scrittura simmetrica, controllata eppure sentita. Non ci sono parole inadeguate: ognuna è soppesata e si armonizza con l’insieme.
La guerra appare per quel che è. Gli dei voltano gli occhi, i legami si spezzano, i sogni muoiono ancor prima dei sognatori. Il conflitto è brutale è brutale. Lo sbarco delle navi achee a Troia ricorda, giustamente, la celebre sequenza iniziale di Salvate il soldato Ryan. La morte è sporca, è fatta di puzzo, rantoli, grida e dolore. Non c’è tempo per pensare alla gloria, mentre si muore.
Il libro è impreziosito di riflessioni amare e delicate, che non lasciano indifferenti. Le dinamiche della guerra e dell’amicizia, del vivere e del morire passano su questi giovani eroi – che potevano diventare re onorati e invecchiare guardando crescere i nipoti – lasciando cicatrici profonde. Tutte mortali. Sia quella della spada sia quella della consapevolezza del nuovo mondo che è nato.