Alla ricerca del tempo… rubato dai social

Negli anni Novanta, ogni estate, partecipavo a quello che noi scout chiamavamo “campo estivo”: dieci o quindici giorni in tenda, in mezzo ai boschi dell’Appennino centrale, immersi nelle nostre grandi avventure. Ricordo quei momenti come i più belli della mia vita e, se tornassi indietro, li rivivrei senza cambiarne una virgola. Sembravano non finire mai. Ma era per via della mia età o per altro? Ricordo perfettamente che ci era consentito chiamare a casa con il telefono a gettoni una volta sola, a metà campo. Nessuno ne ha mai risentito, anzi! Qualche giorno fa ero da mio fratello, a Madrid. Whatsapp trillava continuamente, sia per motivi di lavoro che per semplici chiacchierate tra amici e colleghi, ma non mancavano nemmeno i messaggi di buon-qualcosa sui social, le email e via dicendo. Mi faceva piacere, chiaramente, ricevere un pensiero dagli amici distanti. Ma la mia mente era in troppi posti: lì a Madrid, con mio fratello e mia madre, e in varie parti d’Italia, un po’ impegnata a organizzare il lavoro, un po’ a chiedere di pazientare  a chi desiderava vedermi, un po’ a spiegare come stavo, come andava, dov’ero e via dicendo. La mia “presenza” si divideva e così il mio tempo e la sua intensità. Mentre all’epoca dei campi scout, io ero solo… dov’ero. In quel punto, con quelle persone, in quelle attività. Traiamo le nostre conclusioni…