Origines Pictae – storie romane pensate in latino

È in arrivo e in preordine il volume a fumetti “Origines Pictae“: dodici brevi storie ambientate nell’antica Roma e pensate in latino, per far parlare i nostri Padri con la loro vera voce. E sì, di questo progetto sono parte anche io…

Origines Pictae si compone fumetti brevi, dalle 4 alle 6 tavole ciascuno, ambientati in periodi storici diversi, contesti vari e con tagli narrativi differenti, per accontentare i gusti di più lettori possibile, stimolare la curiosità, favorirne la fruizione e mostrare un latino vario per arricchire le potenzialità didattiche dell’opera. I disegni aiutano la comprensione ma offrono anche dettagli realistici che vivificano il contesto, gli approfondimenti alla fine di ogni storia appagano il lettore naturalmente curioso e ambiscono a diventare una meta per il lettore incuriosito dalle storie.

Da qualche anno ho ripreso a studiare latino e, insieme ad altre persone, ho notato la scarsità di testi che si possano leggere per tenersi allenati o per imparare ma con una certa leggerezza e comodità, anche per puro piacere. Il fine ultimo sarà pure Cicerone, ma non è l’unico e, soprattutto, bisogna arrivarci per gradi! Fumetti ne esistono: alcune traduzioni di Topolino e di Asterix, andando più indietro anche di Braccio di Ferro, ma appunto sono adattamenti di opere già pubblicate, nate e progettate con altro fine.

Qui si parte proprio con l’intenzione di raccontare storie romane parlate e narrate in latino, per rendere tutta l’energia e la duttilità di una lingua morta solo se la si reputa tale.

Dunque io ho realizzato i soggetti del volume, Francesco Vacca – che scrive professionalmente per Disney – li ha sceneggiati, Rossano Fragale – glottologo che studia a Pisa – li ha tradotti e a dar loro vita con disegno e colore è Silvio Costa, archeologo.

Non vedevo l’ora di parlarne, perché posso dire senza tema di smentita che questo è il motivo che mi fa alzare dal letto la mattina. In uno dei giorni più bui dell’anno, sotto un cielo grigio, si è accesa la scintilla di un’idea fatta e finita che ha dato luce ai miei giorni. L’ho condivisa con chi mi è più caro, che ne ha parlato con un amico, poi con un altro e in pochi giorni c’era una squadra con un obiettivo da raggiungere: far raccontare agli antichi le loro storie con la loro vera voce!

Io non vedo l’ora di farveli ascoltare. L’appuntamento sui vostri comodini è per l’autunno, quasi metà dell’opera è realizzata, a breve potrete preordinare il testo su Kickstarter. Al momento, seguiteci anche sul nostro sito, dove troverete anticipazioni e curiosità.

scrivere un romanzo storico-consiglio 6

Meglio sempre verificare se una certa pianta o un certo animale fossero già noti nel luogo e nell’epoca in cui ambientiamo la nostra storia. Trimalcione non avrebbe potuto mangiare pane e marmellata. Petrarca non poteva dimenticare le sue pene d’amore con un bel piatto di pasta al pomodoro. Qualcosa di giallo che si trova in un’epoca precedente alla scoperta dell’America si può paragonare allo zafferano o al tarassaco, ma non al girasole. 

Criticità che ho incontrato – inizialmente il termine di paragone era proprio il girasole – e superato qui:

Anche Roma era dorata, fuori da Santa Maria in Turribus. Il cielo turchese e senza una nube sembrava di smalto, i pioppi erano ingioiellati delle loro foglie. Un vento lieve le agitava sui rami e le sollevava dal suolo, trasfigurandole in petali di tarassaco. 

E via dicendo. Vita triste senza la cioccolata? Sì e no. Seppur non dotati di effetto droga, anche il miele e le spezie svolgono il loro (s)porco lavoro consolatorio nei dolci del passato. Provare per credere.

Siccome sono tutto meno che maestrina, sappiate che inizialmente nel romanzo Costanza Sicanie Regina la protagonista pregava accomodata su un inginocchiatoio. Dopo dieci revisioni mi è sorto un piccolo dubbio sull’esistenza di quell’arredo e… tadàn! In effetti ero in anticipo di cento anni. Prontamente sostituito con una perifrasi.

Costanza d’Aragona: la regina che meritava un romanzo- parte quarta

Continua dal post del 3 agosto

Costanza d’Aragona parte – con figlio e bagagli – diretta in Germania, affrontando un viaggio tanto lungo e delicato, quanto importante, perché il ricongiungimento tra i due sovrani si trasforma in una vera missione diplomatica. Durante il tragitto, la regina fa soste frequenti per incontrare vescovi e feudatari e rinforzare i legami con le terre più lontane dalla Sicilia e più influenzate da Ottone. Da qui in poi però la strada è in discesa. Federico sta vincendo la guerra contro Ottone di Brunswick e recuperando quel che appartiene alla sua corona e alla sua famiglia. A vittoria ottenuta, non resta che chiedere la corona imperiale al Papa. Che intanto è cambiato, non è più Innocenzo ma Onorio. E in cambio vuole sempre e comunque una cosa: una crociata. Federico gliele darà, ma a modo suo e anni dopo. 

Ora, però, per scendere a Roma bisogna lasciare qualcuno in Germania e il piccolo Enrico resta lì, con in testa una corona più grande di lui. Un gesto apparentemente crudele, ma in realtà naturale in quell’epoca e a certi livelli, che tuttavia avrà gravi conseguenze nei rapporti tra padre e figlio. 

Prese entrambe le mani della regina nelle sue, la fissò con tutta la forza che poteva donarle «Fidatevi di lui, Costanza. È nostro figlio.» distillò in quelle parole tutta la convinzione che si imponeva, perché quella era una scommessa: la posta in gioco era un impero ma il dado da lanciare era il suo primogenito. La regina trattenne le lacrime, appigliandosi agli occhi acquamarina del re, mentre l’aquila ricamata sullo stendardo continuava, alle loro spalle, a lanciare il suo richiamo di caccia.

Dal romanzo storico Costanza Sicanie Regina, al momento in esclusiva su Amazon

Ma Costanza non potrà vederle.  Dopo un anno e mezzo da imperatrice, metà del quale trascorso in un lungo viaggio al fianco del consorte, per tornare in Sicilia stringendo nuove alleanze a ogni tappa, Costanza muore di malaria a Catania.
È il 1222.
La sua sepoltura, però, continuerà a raccontarne la storia per secoli. E nel prossimo post, oltre che nel romanzo, lo farò anche io.

Costanza d’Aragona: la regina che meritava un romanzo-parte terza

Segue dal post precedente
Quando Costanza d’Aragona arriva a Palermo, il futuro marito non c’è. Si trova nell’est dell’isola, ad affrontare alcune rivolte. Nonostante il biglietto da visita che è tutto un programma, la nostra non si fa intimidire. In questa storia non c’è spazio per don Abbondio e don Rodrigo. Il matrimonio si fa e, stranamente, funziona anche. La vita è bizzarra e gli esseri umani sono uno spettacolo. Nonostante le differenze, Federico e Costanza sono entrambi dei sopravvissuti, cresciuti presto come si faceva in quel mondo, abituati a cavarsela da sé e, diciamocelo, governare piace a entrambi. Ce n’è abbastanza per colmare i rispettivi vuoti e rafforzare le rispettive armi. Così, la coppia improbabile diventa invincibile. Si inizia sedando le rivolte nel messinese, nonostante un’epidemia di colera decimi i cavalieri d’Aragona e si porti via persino il fratello di Costanza. Si prosegue, prima rimettendo al suo posto il cancelliere invadente e poi resistendo alla minaccia di Ottone di Brunswick, che scende da nord per riunire lui i due tronconi di regno separati dal Patrimonium Petri. Si va oltre, mettendo al mondo un erede maschio alla faccia di detto Ottone. Si raggiunge un punto di svolta quando Federico parte per la Germania, per riprendersi quello è che suo. E qui, ci vorrebbe un meme di moda – ci riprendiamo quello che è nostro – ma la voglia di realizzarlo latita…

Vale la pena aprire una piccola parentesi sulla situazione europea, che spiega le mosse di Ottone. Il sud Italia e la Germania avevano seriamente “rischiato” di essere uniti sotto gli Hohenstaufen nel momento in cui Enrico VI e Costanza d’Altavilla – i genitori di Federico II, per intendersi – si sposano. Una situazione del genere avrebbe stretto il regno del Papa in una morsa e Innocenzo III, che era un fine statista, voleva scongiurarne il rischio. Quella sorte abbastanza frequente in epoche senza antibiotici, dà al Papa l’occasione buona per risolvere la questione: Costanza d’Altavilla, madre di Federico II, per proteggere il figlio di soli quattro anni e prossimo a rimanere orfano, ne rende tutore proprio il Papa e promette di mantenere divise le corone di Sicilia e Germania.
Innocenzo III ha seguito a distanza, per anni, la formazione del piccolo Federico. Dice:

Quando questo fanciullo sarà giunto all’età del giudizio e apprenderà che fu la Chiesa a derubarlo della dignità imperiale, la combatterà in tutti i modi, rifiutando alla Chiesa l’obbedienza dovuta.

Man mano che il bimbo cresce, il Papa capisce non sarà il sovrano imbelle che avrebbe voluto. Così Innocenzo, che abbiamo definito un fine satisfa ma certo non un profeta, favorisce Ottone di Brunswick sul trono imperiale, in Germania, pur di non farci sedere un Hohenstaufen. Purtroppo per lui, Ottone farà esattamente quel che il Papa temeva da Federico. E pure peggio, con maggiore aggressività: cercherà di prendersi il regno di Sicilia e tutti i territori della Chiesa possibili. A quel punto, il piccolo re dai capelli di rame diventa una specie di salvatore e vale la pena rischiare che le corone le riunisca lui… Federico non aspetta altro e parte per il nord.

citazione a tema

Così, Costanza si ritrova al suo anno zero. È reggente della corona di Sicilia, si occupa con amore e fierezza del regno e del figlio Enrico, piccolissimo – lui davvero – re. Costanza d’Aragona emette diplomi e pappe, riceve ambasciatori e tutori. Tutto questo per quattro anni, fin quando anche lei non viene chiamata in Germania…

Segue nel prossimo post, l’ultimo di questa serie.

Costanza d’Aragona: la regina che meritava un romanzo-seconda parte

Emerich – il moro colpisce

Segue dal post del 16 luglio
Appena fisicamente abile e arruolabile, la nostra Costanza viene spedita in Ungheria, a Strigonio (Ezstergom), come sposa del re Emerich. È il 1198 e lei ha circa 14 anni ma, per quanto fosse ancora inesperta, mostra di sapersi far valere. Dal matrimonio nasce presto un bambino, un maschietto erede al trono, Ladislao. Chissà, forse proprio questo fa saltare la mosca al naso di Andràs, fratello di re Emerich, che decide di volere il trono e, va da sé, di prenderselo con le cattive. Dopo una guerra abbastanza lunga e grandemente spiacevole, Emerich sconfigge il fratello minore sul lago Balaton. Non molto tempo dopo, però, si ammala e muore. Io me lo immagino un po’ come Kahl Drogo… Costanza ha 21 anni; vedova, diventa reggente e si trova sul trono di Ungheria con il piccolo Ladislao. Andràs pensa di avere gioco facile ed effettivamente sconfigge e imprigiona entrambi. Costanza però riesce a scappare e mettersi in salvo con il figlio il quale, purtroppo, si ammala e muore a soli cinque anni. Allora a Costanza sale la tigna, cerca di nuovo di tornare in Ungheria e riprendersi il trono – probabilmente l’idea di fare la festa al cognato le passa per la mente – ma non riesce.

Gli confidò la fine di Emerich – così diverso da Federico: bruno, robusto, di scarsa tenerezza e poche parole, ma onesto e impavido – e della sua espressione quando seppe che si sarebbe dovuto scontrare con il fratello. Lei era certa che proprio la vittoria avesse segnato la sua fine: il dolore di aver incrociato le armi contro il sangue del suo sangue aveva indebolito Emerich che non era riuscito a difendersi dai miasmi, lasciando il loro piccolo Ladislao sul trono e lei reggente, giovanissima e confusa. Non poteva fidarsi di nessuno. Poi si era ammalato anche Ladislao o qualcuno l’aveva fatto ammalare? Sapeva che non bisogna affezionarsi troppo ai bambini, che sono ancora più fragili degli uomini, ma questa era una sua pecca: non ne era capace e, a quanto pareva, ancora non aveva imparato.

Dal romanzo Costanza Sicanie Regina, al momento in esclusiva su Amazon


Ripara, allora, nel monastero di Sijena, dove sua madre Sancha, vedova, è diventata priora.

Santa Maria de Sixena @ Josep Renalias

E qui inizia una terza fase della vita di Costanza d’Aragona. All’epoca, il monastero di Santa Maria di Sijena era quasi una propaggine della corte. Vi venivano ospitate – laiche, libere e con un buon tenore di vita – le donne della famiglia reale nubili, vedove o consacrande. E il monastero, in futuro, svilupperà un forte legame con la corte palermitana: ne parleremo. Intanto, la nostra Costanza vi arriva traumatizzata. Almeno, io sono pronta a scommetterci. Il disperato tentativo di recuperare il trono d’Ungheria mi sembra una plausibile e fiera reazione al dolore per la morte del figlio. La nostra non sarà mai particolarmente fertile, ma molto mamma-tigre. E ad Andràs non perdonerà mai la crudeltà: sul trono di Sicilia, ancora palesava al Papa le sue rimostranze contro il precedente cognato.
A Sijena, Costanza resta cinque anni. Entra ventenne ed esce quando probabilmente ormai non ci credeva più. Era stata già regina, sposa e madre e tutto era andato a rotoli. Eppure, qualcosa accade…

Lei se lo immaginava, il Papa, immerso tra fumi di incenso e ceri come un pesce nell’acqua, intento a soppesare le due figlie di Alfonso II d’Aragona. La più giovane, Sancha, si chiamava come la madre ed era parimenti bella e spigliata nonché vergine. Tuttavia non avrebbe mai difeso un regno in prima persona, con le unghie e con i denti. 

Tratto dal romanzo storico Costanza Sicanie Regina, al momento in esclusiva su Amazon

Costanza lascia il monastero che la ospitava per diventare la sposa del giovanissimo re di Sicilia. Al posto della sorella minore, alla quale  – scommettiamo – un po’ avrà rosicato. Ma questo ve lo racconterò più in là… Tornando alla nostra, Costanza d’Aragona risale fino in Provenza, dove si riunisce al fratello minore Alfonso e al piatto forte della sua dote: 400 cavalieri con due cavalli ciascuno. Perché di tranquillo in Sicilia c’è giusto il mare…

Continua nel prossimo post!